Il candore della luna di Fulvio Fronzoni

Il carattere visionario, derivante dallo stato psichico del narratore, è ciò che immediatamente colpisce in “Il candore della Luna”, tale da condizionare persino la struttura del romanzo. Se è vero, a ragion veduta, che ogni capitolo ha come indicazione quella di “racconto”, è chiara la relazione tra questi spazi narrativi, apparentemente chiusi, a una struttura più ampia. Non si tratta però di una cornice di giunzione delle parti, ma di una vera e propria guida, cioè della storia principale con protagonista il narratore, nella quale tutti i tasselli alla fine andranno a confluire. Quando si incontrano i vari personaggi, ognuno di loro ha una identità ben definita, siano essi ragazzi italiani che vanno all’isola di Wight o veterani della guerra del Vietnam. Si passa dalle prime avvisaglie degli anni di piombo, con la strage di Gioia Tauro, sempre del 1970, agli amori liberi, ai disagi giovanili (compresa l’omosessualità e la sua repressione), ai discendenti delle famiglie ebree vessate negli anni mussoliniani, agli esperimenti del superuomo ariano intentati dalle direttive tedesche. Tutti elementi che, con i loro effetti, condizionano le varie vite, ma che permettono di scovare delle linee sotterranee che le legano. Una di queste è costituita dal profumo e dalle fragranze, siano esse immaginarie o reali. Anzi, sarà proprio la poesia delle essenze a permettere che la matassa si sbrogli un po’.

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